venerdì, aprile 19

I nuovi flussi migratori in Europa: le pronunce della CEDU sulle violazioni del fondamentale principio di non refoulement.

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di Dario Evangelista 

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A partire dagli anni ’90 del XX secolo la tematica legata ai flussi migratori irregolari ha acquisito una sempre maggiore importanza da un punto di vista della politica internazionale ed interna nei Stati Europei direttamente coinvolti nell’accoglienza di profughi. Infatti, i Paesi Mediterranei del Vecchio Continente quali la Spagna, la Grecia ma soprattutto l’Italia, sono stati oggetto di flussi migratori di persone che nel corso degli anni hanno avuto diversa provenienza vista la mutazione geopolitica degli ultimi venti anni.

Con riferimento alla situazione italiana, durante l’ultimo decennio dello scorso secolo, furono dapprima le coste della Puglia ad essere prese d’assalto dalle traversate dei gommoni provenienti dall’Albania e carichi di profughi albanesi, kosovari e montenegrini in fuga dal conflitto jugoslavo, dalle persecuzioni ai danni delle popolazioni citate e dalla miseria.

Con la fine di conflitti dell’area balcanica, nel XXI secolo vi è stato un cambio delle rotte e delle provenienze in quanto i nuovi migranti del mare hanno origine africana – generalmente di provenienza geografica riconducibile all’area sub-sahariana e magrebina – e mediorientale – soprattutto persone di nazionalità siriana, afghana e irachena – che affrontano autentici ‘viaggi della speranza’ per giungere irregolarmente sulle coste del vecchio continente in fuga dalle guerre, dalle persecuzioni, dalla carestia e dalla povertà che, nel corso degli anni, hanno scandito il corso degli eventi nei rispettivi paesi. La rotta più percorsa nonché anche la più pericolosa –viste l’alto numero di vittime nel corso degli anni durante la traversata – è quella che passa nel Canale di Sicilia, dove i natanti di piccole dimensioni, in partenza dalle coste libiche ed egiziane e riempiti all’inverosimile di profughi, cercano di raggiungere le acque territoriali italiane.

In tema di immigrazione il diritto internazionale tutela ampiamente il rifugiato sin dalla sottoscrizione della Convenzione di Ginevra relativa allo Status dei Rifugiati del 1951, all’interno della quale, nel proprio articolo 33 viene sancito il principio di non respingimento che viene posto a fondamento della tutela del rifugiato, ribadito dal relativo Protocollo del 1967. Nel suddetto articolo infatti viene proibito che il richiedente asilo o il rifugiato sia espulso o respinto “[…] verso i confini di territori in cui la sua vita o la sua libertà sarebbero minacciate a motivo della sua razza, della sua religione, della sua cittadinanza, della sua appartenenza a un gruppo sociale o delle sue opinioni politiche”.

L’Unione Europea in tema di salvaguardia del principio di non respingimento, mediante l’art. 78 TFUE, è tenuta a sviluppare una politica comune in materia di asilo, di protezione sussidiaria e di protezione temporanea volta a “garantire il rispetto del principio di non respingimento. Detta politica deve essere conforme alla Convenzione di Ginevra [del 1951 e al relativo protocollo](…), e agli altri trattati pertinenti”. Il principio di non respingimento è tutelato e salvaguardato anche dalla Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali – d’ora in avanti CEDU – che proibisce in termini assoluti il rimpatrio di una persona che potrebbe essere esposta al rischio effettivo di subire un trattamento contrario all’art. 3.

Tale principio è stato ribadito in più occasioni dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo – d’ora in avanti Corte EDU – che nel corso degli anni mediante le proprie pronunce lo ha indirettamente collegato all’art.3 CEDU, considerato peraltro uno dei valori fondamentali di ogni società democratica, visto il divieto assoluto di tortura o trattamenti inumani o degradanti a prescindere dalla condotta della vittima. Il principio di non respingimento – definito anche non refoulement – in quanto principio cardine del diritto internazionale del rifugiato può essere sintetizzato come il divieto che il richiedente asilo o il rifugiato sia respinto verso luoghi ove la sua libertà e la sua vita sarebbero minacciati e può essere classificato, se violato, come respingimento diretto o indiretto. Nella prima tipologia rientrano le situazioni in cui lo Stato respinge i migranti in maniera arbitraria, senza verificare le eventuali possibilità di richiesta d’asilo da parte degli immigrati.

Sul punto, per quanto riguarda il respingimento dalle acque nazionali di imbarcazioni avente bandiera straniera con a bordo migranti, la Corte EDU ha affermato che tale procedura dario-evangelista_immagine-migranti-articoloimpedisce un riconoscimento delle situazioni individuali di ogni profugo al fine di verificare se la persona migrante non è sottoposta a persecuzioni o torture nel proprio Stato d’origine o nello Stato di partenza del natante. Tale circostanza infatti nega la possibilità ai migranti di chiedere asilo allo Stato di approdo, il quale non può verificare singolarmente i diversi casi in cui i soggetti potrebbero chiederlo ed averne diritto.

Per tali motivi l’Italia, per le proprie politiche di respingimento adoperate nel mar Mediterraneo tra il 2008 ed il 2011, è stata condannata dalla Corte EDU per violazione del divieto di respingimento sancito dall’art.3 CEDU in quanto i migranti respinti sono stati sottoposti ad incarcerazione, torture e trattamenti inumani e degradanti verso il Paese ‘terzo’ di partenza, ossia la Libia, peraltro attualmente prevalente base di partenza dei flussi migratori via mare diretti verso la Sicilia. Nel caso specifico, le espulsioni collettive, considerate come un qualsiasi provvedimento che obblighi una pluralità di persone a lasciare il territorio di un paese in qualità di gruppo e in assenza di un preventivo esame ragionevole e oggettivo della situazione personale di ciascun individuo – hanno inoltre comportato una ulteriore violazione delle tutele garantite dalla CEDU.

La Corte EDU ha sanzionato in passato quei Paesi che avevano praticato forme diverse di respingimento ed espulsione collettive alla frontiera, ad esempio istituendo negli aeroporti delle “zone di transito”; tali luoghi, specificamente destinati al passaggio degli immigrati irregolari, vennero istituiti affinché questi ultimi potessero venire allontanati più rapidamente. Con riferimento alle ipotesi di respingimento indiretto invece rientrano i casi in cui sussiste ed è presente il rischio di subire cattivi trattamenti nel Paese di origine dei migranti verso i quali gli stessi vengono inviati dagli Stati secondo le proprie procedure di espulsione o di estradizione. In questo caso, i profughi dal paese di destinazione verrebbero inviati nei paesi d’origine, dove verrebbero sottoposti a trattamenti contrari all’art. 3 CEDU. La Corte EDU infatti ha più volte avuto modo di evidenziare la violazione del divieto di respingimento indiretto in quanto gli Stati Europei condannati non hanno preso in considerazione che la persona in esame abbia corso un rischio effettivo di essere sottoposta a tortura o trattamenti o pene inumani o degradanti, una volta rimpatriata nel paese di destinazione.

In ogni caso, affinché possa sussistere una violazione del principio di respingimento, diretto o indiretto, ex art.3 CEDU, la Corte EDU verifica le circostanze personali dell’interessato oltre alle condizioni generali, politiche e sociali del Paese come, ad esempio, la presenza di violazioni dei diritti umani oltre alle situazione di violenza generalizzate o di conflitto armato, concentrandosi pertanto sulle conseguenze prevedibili e potenzialmente irreversibili dell’allontanamento di una persona verso il Paese di rimpatrio. La Corte EDU, al fine di verificare la presenza di una violazione della CEDU, deve pertanto svolgere una valutazione del rischio dapprima considerando le ragioni – veritiere, credibili e documentate – sostenute dal ricorrente e successivamente richiamandosi a quanto dichiarato dal governo dello Stato chiamato in causa sul tema per eliminare ogni dubbio a riguardo.

Specialmente negli ultimi anni, la Corte EDU, con le proprie pronunce in tema di immigrazione, ha avuto indirettamente un ruolo fondamentale nell’ambito delle politiche europee di gestione dei flussi migratori. Da un lato infatti ha voluto continuare a salvaguardare il diritto incontestabile per gli Stati di sorvegliare l’ingresso ed il soggiorno di stranieri nel proprio territorio, salvaguardando l’incontrovertibile principio della sovranità dello Stato, ma dall’altro lato, tuttavia, ha voluto tenere ben saldi i principi della CEDU, tra i quali rientra anche il divieto di espulsioni collettive, in modo che il diritto in questione sia esercitato in conformità con la Convenzione.

In conclusione, con le proprie pronunce, la Corte EDU ha ampliato l’applicazione dei diritti umani in materia di migranti, ricollegandosi non solo alle Convenzioni sullo status di rifugiati e richiedenti asilo ma disponendo il divieto di espulsioni collettive e di respingimenti, diretti o indiretti, verso quei paesi in cui sono presenti – contro i migranti – trattamenti contrari alla Convenzione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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