venerdì, aprile 19

Molti i bambini soldato nel mondo. Sud Sudan in testa. Ma qualcosa (forse) si sta muovendo…

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Il 12 febbraio la giornata internazionale a loro dedicata

– di Emmanuele Masiero (studente Master INPEF in Diritti Umani)

 

Le cifre sulla quantità di bambini impiegati come soldati nel mondo sconvolgono. Anche se è molto complesso poter stabilire un numero preciso, alcune ricerche ad opera di Amnesty International stimano che essi raggiungano i 300.000, il 40% dei quali sarebbero bambine; ulteriori dati, invece, UNICEF in testa, ritengono che siano più di 250.000. Ancora numerosi, infatti, sono gli Stati nel terzo mondo che, direttamente o no, se ne servono nelle loro ostilità, violando pesantemente le norme che regolano i diritti umani.

L’odierna visione pedagogica sull’infanzia è tutta protesa ed orientata a guardare al bambino non solo come ad una persona con i suoi bisogni attuali, ma anche a colui che rappresenta il cittadino di domani, colui che incarna la “nuova generazione”; e c’è da chiedersi dunque, che futuro può mai avere un bambino a cui si nega di essere bambino?

La Convenzione internazionale dei diritti del fanciullo, entrata in vigore nel settembre 1990, sottolinea il suo diritto ad essere nutrito, trattato e istruito bene, aspetti compresi ed accolti da tempo nei nostri paesi occidentali, ma non altrettanto ovvi e analoghi in altri luoghi e culture del mondo.

ONU 2030 – Il 2015 è stato un anno importante per le Nazioni Unite perché, conclusosi i quindici anni degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, si sono impegnate ad adottarne di nuovi, i cosiddetti Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile. Tali traguardi, che fino al 2030 stimoleranno interventi in aree di importanza cruciale per l’umanità ed il pianeta, si fondano sulla determinazione a porre fine alla povertà e alla fame, in tutte le loro forme e dimensioni, assicurando a tutti gli esseri umani di realizzare il proprio potenziale con dignità ed uguaglianza in un ambiente sano.

Ebbene, l’impiego di minori in scontri armati entra in conflitto con almeno due di questi obiettivi. In primo luogo, con l’intento di fornire un’educazione di qualità, equa ed inclusiva, e opportunità di apprendimento per tutti, garantendo ad ogni ragazza e ragazzo il diritto a godere di un buono sviluppo infantile (SDGs 8); i bambini soldato infatti sono impossibilitati a frequentare la scuola non ricevendo, al di là di questa, alcuna educazione e formazione positive per il loro sviluppo psicofisico. In secondo luogo, con la riduzione della mortalità infantile attraverso, per esempio, la lotta contro le epidemie di AIDS, tubercolosi, malaria ed altre tipologie di malattie che affliggono le popolazioni sottosviluppate (SDGs 3); i minori coinvolti nei conflitti armati spesso non hanno accesso all’assistenza sanitaria e sono esposti a situazioni di pericolo di vita e, se non bastasse, sono vittime di abusi sessuali e sfruttamento.

La situazione a livello internazionale – L’impiego dei bambini soldato, per quanto non sia nuovo nella storia, è iniziato a diventare sistematico in svariati conflitti (le cosiddette “nuove guerre”) scoppiati dopo il crollo del muro di Berlino, cioè in guerre combattute da eserciti poco addestrati e disciplinati e in cui la proliferazione e l’uso di armi leggere, vale a dire facilmente maneggiabili, agevolava l’arruolamento dei più piccoli.

Ed oggi, secondo le stime delle Nazioni Unite, di UNICEF, di  Amnesty International e di molte altre realtà che si occupano di salvaguardare le condizioni dei minori nelle aree colpite dalla guerra, vi è una grossa presenza di bambini soldato in Africa (in particolar modo nella parte sub-sahariana del continente), Sud America e Medio Oriente. 86 sono i paesi che arruolano bambini negli eserciti e nelle milizie, o almeno questo è quanto sospetta la Coalition to Stop the Use of child soldiers che precisa come su questo argomento non esistano dati certi ma stime che spesso differiscono tra di loro. Sempre secondo tale rapporto, la maggior parte dei bambini soldato ha tra i 15 e i 18 anni. Ha solo 7 anni, invece, il bambino più giovane registrato.

Secondo UNICEF, per esempio, sarebbero oltre 16.000 i minori reclutati da gruppi e forze armate in Sud Sudan dall’inizio della guerra civile, arrivata ormai al quinto anniversario dal suo inizio. Quasi 2.000 in Nigeria e nei paesi limitrofi da parte di Boko Haram nel solo 2016. 1.500 nello Yemen. E poi ci sono la Siria, la Repubblica Centrafricana, la Somalia, le Filippine, il Guatemala ed altre nazioni ancora.

Ad oggi 153 Stati hanno ratificato il Protocollo Opzionale sul coinvolgimento dei minori nei conflitti armati, impegnandosi a non reclutare persone che non abbiano ancora raggiunto i 18 anni di età. Ma tra il dire e il fare…

Qualcosa sta cambiando? – Oggigiorno assistiamo sempre di più all’impegno di diversi Paesi al rilascio di bambini soldato. Significativa è la smobilitazione avvenuta nel gennaio 2015 in cui 1.775 minori, ex bambini soldato, sono stati liberati presso il villaggio di Gumuruk, nella parte orientale del paese. Alcuni di loro hanno combattuto 4 anni, molti non sono mai andati a scuola. Sono almeno 65.000 – ricorda UNICEF – i bambini liberati da forze e gruppi armati nell’ultima decade. Oltre 20.000 i minori smobilitati nella Repubblica Democratica del Congo, quasi 9.000 quelli nella Repubblica Centrafricana e oltre 1.600 in Ciad.

Il 12 febbraio è la giornata internazionale dei bambini soldato. Non vi è nulla da celebrare e pochi sono i risultati da acclamare. Tanto, però, è l’impegno ed intensi sono gli sforzi affinché tutto questo finisca. Dobbiamo fermarci. Fermarci a riflettere sull’orribile destino di questi giovani uomini e su interventi migliori per invertirlo. È necessaria un’area umanitaria pienamente operativa. Servono decisioni accorte e concrete. Perché tra tutte le barbarie che l’uomo commette, questa è senz’altro la più terribile!

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