martedì, marzo 19

​“Un ragazzo a scuola è come un figlio in famiglia. Se lo mandiamo via, perdiamo noi e, soprattutto, perdiamo lui” Vincenza Palmieri

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“Oggi è la prima volta, dopo tanto tempo, che parlo seriamente” – mi dice T.
T. è un ragazzo che viene definito “difficile”, borderline.
Eppure, a quanto pare, è un ragazzo che nessuno ascolta; quantomeno un ragazzo con cui nessuno sembra comunicare in maniera significativa.

Mi colpisce questa sua frase, soprattutto in un momento in cui il dibattito pubblico si scaglia contro gli adolescenti che a scuola hanno messo in atto comportamenti aggressivi nei confronti di alcuni professori.
Se l’argomento è così complesso e articolato, non è certo con qualche “bocciatura esemplare” che si può pensare di fare giustizia. Perché è “giustizia”, che si pensa di fare, non educazione. Non formazione. Non soluzione. Solo punizione. Una punizione che non si sa a cosa debba portare. Se non a portare fuori, definitivamente fuori – dalla scuola, forse dalla società – questi ragazzi.

Un ragazzo a scuola è come un figlio in famiglia.

Se un figlio in famiglia ne combina una – grande o piccola che sia – i genitori non lo buttano via: qualcosa cercano di fare.

Difficilmente un genitore ignora un fatto eclatante che riguarda il proprio figlio. Possibile che nessuno si sia accorto di questo ragazzo prima che mandasse a quel paese il professore?

Il genitore si è mai accorto di niente? Chiediamo al genitore. I docenti se ne sono mai accorti? Chiediamo.

E chiediamo: come andava a scuola? Quante richieste di aiuto ha inviato? A quante diagnosi è stato sottoposto?

Ora questi ragazzi saranno bocciati “perché la famiglia deve imparare a dire no”.

Ed ecco che, improvvisamente, così, la famiglia ha sempre torto.

E’ una provocazione, la mia, certo. Ma una provocazione seria.

Non voglio accusare la scuola più di quanto non voglia rimettere i genitori stessi sul banco di scuola.

Ma c’è un gran bisogno di essere concreti e dare un’attenzione reale a quelli che definisco da tempo – troppo tempo – “adolescenti terra di nessuno”.

Cosa va fatto, allora, in questo momento?
Dobbiamo metterci tutti intorno a un tavolo e cospargerci il capo di cenere.
Tutti. Docenti, genitori, capi d’istituto, educatori, amministratori, governanti, politici.

Intorno ad un tavolo e senza ridurre tutto ad un semplicistico “quel comportamento è patologico, diagnostichiamolo.” Senza operare un intervento riduzionistico e senza minimamente pensare che un buon sedativo possa essere la soluzione migliore contro un comportamento oppositivo e provocatorio.

La chiave – lo diciamo ormai da anni – è iniziare a ripensare alla didattica, più tempo da dedicare alla famiglia da parte dei genitori, un’economia sostenibile per le famiglie stesse, centri ludici e culturali per gli adolescenti, metodologia didattica che appassioni i ragazzi e faccia amare loro la scuola, il docente e la materia.

E questo è compito di tutti: guai a chi dice “ha sbagliato il genitore, la scuola” o “non si è fatto abbastanza screening di massa”. Il compito, oggi, è di tutti.

Non c’è una ricetta, certo; ma ci sono metodi che insieme possono funzionare.

Per questo ripeto che un ragazzo a scuola è come un figlio in famiglia: se lo mandiamo via oggi, non lo recuperiamo più.

Perché non avremo più il tempo, lo spazio e possibilità di fare ciò che possiamo attuare solo quan​d​o i ragazzi sono giovani.

Quando li abbiamo lanciati verso la vita, forse è un po’ più difficile poi ritrovarsi tutti.

A 16 anni si può ancora fare.

Da genitore, penso che se fosse mio figlio a sfuggirmi di mano, non lo manderei via col rischio di non riprenderlo più. La scuola è una comunità educante: non perdiamo i nostri ragazzi.

Perché gli adolescenti, da “terra di nessuno”, devono diventare “terra di tutti”, di tutti noi.

Vincenza Palmieri, Presidente INPEF

 

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