martedì, marzo 19

“Manicomi per bambini” – intervista a Vincenza Palmieri

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“MANICOMI PER BAMBINI”
– Intervista a Vincenza Palmieri –

Prof.ssa Palmieri, c’è un’espressione che in questi giorni è salita particolarmente alla ribalta. Si parla di Nuovi Manicomi e, in particolare, di Manicomi per Bambini.
È un termine che ha usato Lei per la prima volta. Ci può spiegare cosa siano i Nuovi Manicomi per Bambini?

L’Analisi dei nuovi Manicomi per Bambini è senza dubbio ciò che rende manifesta, in maniera più evidente, la trasformazione che il Sistema Psichiatrico in Italia ha messo in atto negli ultimi decenni.

Quando parliamo del “nuovo vestito della Psichiatria” – ovvero della modalità recente con cui i massimi Sistemi si sono organizzati intrecciando Potere Politico, Giudiziario, Economico e Psichiatrico – individuiamo come origine proprio il momento in cui la Riforma Basaglia ha chiuso i manicomi e ha inferto al Sistema di controllo sociale una pesante sconfitta. Eppure, tale Sistema non si è rintanato inerme negli inferi dai quali proveniva; ma si è riproposto al mondo in una forma diversa.

Oggi, in Italia, non esistono più i manicomi nella modalità in cui li conoscevamo quarant’anni fa.  Ma registriamo con orrore un gran sorgere di strutture – soprattutto per Bambini – del tutto simili a quei Manicomi.

Quali sono le caratteristiche di tali nuovi Manicomi?

Innanzitutto, si fondano sul medesimo aberrante presupposto: sono luoghi che ci celano dietro al fatto di essere preposti all’aiuto.

E, invece, cosa accade al loro interno? Si presentano con cancelli, catene, con Bambini legati ai letti, sedati, a cui vengono somministrati i veleni più orridi. Minori che vivono nell’assoluta impossibilità di essere liberati.  Persino una procedura di TSO per un adulto è più garantista della reclusione, di una deportazione, dell’arresto di un bambino che va a finire in una Casa ad Alto Contenimento.
Questi sono luoghi terribili a forma di lager. Per assurdo, oggi, un adulto che riceve un TSO ha più possibilità di uscirne di un bambino. Perché ci sarà sempre il suo tutore, il curatore speciale, il neuropsichiatra infantile della struttura o la cooperativa afferente alla Filiera Psichiatrica a sancire la sua permanenza in Manicomio. Manicomio mascherato da Comunità.

Questo bambino ha solo un peccato: essere incompreso, vivace o con un “deficit cognitivo”. Per questi motivi viene recluso. Non viene supportato – perché dai comportamenti non si guarisce: non sono una malattia, al massimo possono aver bisogno di essere corretti – ma viene strappato via, magari dalle braccia di una madre o di un padre amorevoli che pure si è attivata per ottenere invece un supporto reale, attraverso una serie di aiuti.

È preferibile, per il Sistema, recludere il bambino in questi luoghi dove sarà bombardato con fiale di “Entumin” e ogni tipo di legaccio chimico e di contenzione.

In Italia abbiamo un gran numero di Case per Ragazzi e Bambini ad orientamento psichiatrico. Il Piemonte, per portare un esempio concreto, è la Regione con la più alta concentrazione sul territorio nazionale. Questi sono i Manicomi di oggi, che ricordano in maniera impressionante quelli di quaranta anni fa: luoghi permessi, consentiti, autorizzati e dai quali non è possibile uscire neanche quando un bambino diventa maggiorenne perché ci sarà sempre un curatore speciale che dichiarerà che quello è il maggior bene e che il ragazzo è lì al riparo, al sicuro.

Lei ha parlato di colpevoli commistioni e contiguità tra Potere Politico, Giuridico, Giudiziario, Economico, Sanitario e Psichiatrico.
In che modo questo legame si autoalimenta? E chi guadagna dalla presenza dei Manicomi per bambini?

Dai Manicomi per Bambini guadagna tutto il Sistema della Filiera Psichiatrica che si autoalimenta e da tale situazione trae la sua linfa vitale. Questi luoghi servono perché – dopo la segnalazione ai Servizi Territoriali, dopo l’arrivo dell’Educativa Domiciliare, dopo la Valutazione Neuropsichiatrica nei Centri per la Famiglia – sono già pronte diverse tipologie di strutture dove i ragazzi “necessariamente” vanno a finire.

Questa linea di flusso è funzionale al mantenimento della Filiera che costituisce anche il bacino elettorale da cui molti noti Politici attingono voti perché le Cooperative, le Associazioni, i grandi Enti rappresentano un pacchetto insostituibile di consenso.

Cosa sta accadendo in questo momento fortemente condizionato dalla pandemia da Covid 19?

Durante il lockdown, alcuni bambini sono rimasti a casa perché vi si trovavano al momento dell’emanazione del Decreto. Questo cosa ha provocato come “effetto collaterale”? Posti vuoti nelle Strutture.
E in questo momento, tra un lockdown e forse un altro, c’è una corsa velenosa a recuperare il più alto numero di Bambini che possano andare a riempire quegli stessi posti vuoti. Le strutture non possono avere letti vacanti, perché ognuno di essi vale centinaia di euro al giorno; e nessuna Comunità accetta di buon grado i mancati guadagni. Quindi assistiamo alla corsa al pescaggio di Minori da catturare nell’ambito dei 500 mila bambini affidati ai Servizi Territoriali oggi in Italia.

Lei ha lanciato una provocazione che, in realtà, è una vera e propria proposta: quella di chiudere i Manicomi per Bambini.
Quali sono i passi da compiere per realizzare questo obiettivo?

Ho formulato una proposta concreta: Aiutiamo i bambini a casa loro. Questo significa che dobbiamo chiudere i Manicomi mascherati, i luoghi di reclusione per Bambini, che siano Case psichiatriche o “normalissime” Case Famiglia. Si tratta di una ricetta semplice che, in sintesi, trasmette anche un messaggio di speranza, di concretezza e di welfare. Un punto deve essere molto chiaro: non è necessario nella maniera più assoluta licenziare gli operatori assistenziali che lavorano oggi nei Servizi Territoriali e in queste Strutture. È necessario ed imperativo chiudere i luoghi di reclusione e abuso, ma contemporaneamente salvare i posti di lavoro. Il personale deve essere riqualificato, perché possa aiutare i Bambini e le Famiglie a casa loro.
Bisogna affrontare le problematiche delle Famiglie fragili attraverso la lettura dei bisogni – ed in questo, ad esempio, i Pedagogisti Familiari sono maestri – interpretandoli in una chiave non autoritativa ma di progettualità e di problem solving; stabilendo dei programmi che riguardino sicuramente il nucleo familiare ma il suo contesto più allargato.

Se ci fossero delle situazioni di straordinarietà, ovvero abusi concreti sui Minori, come intervenire?

C’è una modalità molto semplice e logica: punire gli adulti colpevoli. Non certo catturare i bambini, sedarli, legarli e portarli in un posto dal quale vogliono scappare. Devono essere corretti i genitori, i parenti, gli adulti che sbagliano. Ai bambini deve essere consentito di continuare a ricevere amore da tutte quelle persone che nell’ambito della famiglia ci sono e possono continuare a seguirli a casa loro.
Ma la maggior parte dei casi dei bambini allontanati riguarda situazioni di fragilità delle Famiglie diverse dalla violenza. Di solito si tratta di problemi economici, di povertà o di – spesso presunta -incapacità educativa. Quante diagnosi “copia e incolla” abbiamo visto, in questi anni: “madre simbiotica, genitore inidoneo, rischio psico evolutivo… senza alcun riscontro da parte de gli stessi bambini che pur dovrebbero essere i primi a dire la loro su quel genitore giudicato inidoneo da altri. Pertanto, è fondamentale definire quali siano i bisogni reali e non semplicemente i comportamenti, che possono essere, se necessario, corretti. E non bisogna smembrare le Famiglie, ma tenerle unite: perché sono la forza della Società. Dividere le Famiglie per questi motivi è come togliere un albero dalla montagna.

Come la montagna crolla su se stessa, se si sradica un albero, così la Società si sgretola, si impoverisce e dovrebbe iniziare a tremare ogni volta che un solo Bambino viene sradicato dalla sua Famiglia.  

 

 

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