Pedagogista Familiare ANPEF, scrittrice ed esperta di dinamiche familiari. Offre consulenza alle famiglie collaborando con l’Associazione Nazionale dei Pedagogisti Familiari ed altre realtà del territorio. È autrice di “Giochi di specchi riflessi” (2017), “Il Parnaso” (2013) e “Un buco nel cuore” (2006).
L’abbiamo incontrata per capire meglio cosa è cambiato con la pandemia: quali trasformazioni sono avvenute a livello interpersonale e familiare, quali i nuovi bisogni a cui il Pedagogista Familiare è chiamato a rispondere, ma anche quali opportunità – accanto alle restrizioni e alle incertezze – questo periodo ha reso possibili.
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Dott.ssa Aprea, la Sua formazione personale e professionale – come Pedagogista Familiare – La portano quotidianamente a raffrontarsi con nuclei familiari molto diversificati e ad intervenire su molteplici fronti, rispondendo ai nuovi bisogni che le famiglie manifestano. Cosa è cambiato con la pandemia?
Sicuramente è d’obbligo una premessa antropologica. La pandemia che stiamo vivendo è quello che in antropologia viene denominato “fatto sociale totale”, un evento significativo per la maggioranza della società, che ha ripercussioni nelle pratiche e nelle credenze collettive. Con la pandemia, le dimensioni che ci rendono uomini contemporanei hanno subito una risolutiva trasformazione, con una completa riconfigurazione del modo in cui viviamo gli spazi domestici e interpersonali. Sono stati riconfigurati gli spostamenti e il modo di comunicare, rompendo l’equilibrio tra queste due dimensioni: a causa dell’impedimento negli spostamenti, l’unico modo di mantenere le relazioni è stato quello di “riconfigurarle” attraverso l’uso dei media, canalizzando ogni comunicazione nel digitale. Sono nate nuove esperienze dello spazio…
Un grande cambiamento degli spazi che inevitabilmente ha comportato delle trasformazioni nella vita personale e familiare, ma anche nei rapporti con gli altri?
Alcuni antropologi mettono in luce come il nostro modo di abitare, modelli poi il nostro modo di vedere il mondo e di dare ordine e significato alle nostre vite, forgiandoci come esseri umani. La particolare esperienza di spazio domestico che il Covid ha imposto è estremamente rilevante perché, se i processi con cui ci modelliamo sono influenzati dal modo in cui abitiamo lo spazio, una sua modificazione ci orienterà verso un modo differente di dare forma alla nostra umanità. Siamo passati dalla molteplicità e libertà di accesso ad ambienti diversi, al doverci limitare a pochi spazi riservati alla nostra sopravvivenza biologica; siamo passati dalla relazione con i paesaggi condivisi, al ritiro nello spazio privato, che si trascina dietro le aspettative, i ruoli e le pratiche che abbiamo vissuto negli spazi pubblici e, che attraverso il passaggio al virtuale, abbiamo riportato nella nostra vita privata, rompendo i confini. E poi, certamente, la dimensione spaziale si riconfigura anche nei modi in cui esperiamo le relazioni. Viviamo una sospensione di tutti quei “rituali”, come il saluto e lo sguardo, basati su scambi fisici in presenza. In questo stato di cose, è stato necessario reinventare quella dimensione rituale, trasformandola in una sorta di “galateo dello smart working”: con il telelavoro, le strette di mano e gli abbracci si spostano su un piano verbale. E questa riorganizzazione dello spazio sociale, si traduce anche in differenti pratiche nel modo di vivere la nostra abitazione, mettendo in evidenza la logica del dentro e del fuori, la sicurezza della casa rispetto al rischio del mondo esterno e, nello specifico, del contagio.
Eppure, la ricerca dell’altro non si è fermata?
È proprio questo l’altro lato della medaglia: nonostante i rischi, le restrizioni, le paure… la socialità rimane una dimensione essenziale dell’essere umano. È per questo che, sebbene la trasformazione degli spazi abbia costretto al distanziamento sociale, emerge con forza l’urgenza di trovare altre forme di contatto, di comunicazione, di interazione. Altre risorse di socialità. La creatività aiuta a rielaborare la ricchezza culturale che consente di inventare nuove forme di relazione: delle relazioni guidate da un progetto di umanità che non sia basato sulla paura dell’altro, ma sulla responsabilità verso l’altro come individuo e come comunità.
Dunque, il Covid ci ha costretti a riconfigurare spazi, tempi e relazioni?
Esattamente. Le difficoltà mettono sempre alla prova la stabilità, e in particolare la stabilità familiare. Negli anni le famiglie hanno costruito un equilibrio interno che le aiuta a regolare l’andamento del tempo, la suddivisione dei compiti, l’organizzazione degli spazi domestici, la gestione dei figli, ecc. In una situazione “normale” una famiglia condivide gli spazi e i tempi in momenti particolari di unione desiderati come stacco dalla quotidianità e come un’occasione utile a condividere la felicità dello stare insieme, di parlare e di trascorrere il tempo svolgendo attività piacevoli. Ma cosa accade quando questo spazio viene imposto? Cosa avviene all’interno di un nucleo familiare quando è obbligato a rimanere negli stessi spazi per un periodo di tempo indeterminato? La persona è costretta a cambiare molto velocemente la sua organizzazione spazio/temporale. E per riorganizzare il tempo in una cornice temporale così incerta e ristrutturare lo spazio evitando che la convivenza forzata si trasformi in una convivenza intollerante, magari esasperando situazioni già critiche, è possibile – e vitale! – adottare alcune strategie arricchenti, che possono tradursi in una serie di azioni positive.
Ce le può raccontare nel dettaglio?
Si tratta di focalizzarsi su alcuni punti-chiave che possono fare la differenza. Innanzitutto, definire degli spazi in cui poter svolgere le attività che amiamo, anche in solitudine, sia per noi stessi che per il resto della famiglia. Poi, dedicarsi ad aiutare gli altri, perché questo può servire ad aiutare se stessi: non solo perché allontanare l’attenzione dalla propria situazione aiuta a riflettere meglio su se stessi, ma anche perché, quando dedichiamo tempo agli altri, rispondiamo anche a un nostro bisogno. Ancora, accettare il sostegno: nel corso degli anni, venuta meno la famiglia allargata, si è persa l’abitudine di chiedere ed accettare aiuto quando ci viene offerto; è invece molto confortante ricevere un sostegno fisico ed emotivo, ed è importante non rifiutarlo, perché condividere la propria esperienza fa bene e si possono sviluppare nuove importanti relazioni. Infine, può essere di grande aiuto creare memoria dei momenti vissuti insieme alla famiglia: fotografie, giochi fatti con i bambini, nuove avventure vissute all’interno degli spazi domestici. In futuro questa documentazione costituirà memoria degli eventi, ma anche delle emozioni vissute e delle strategie trovate per fronteggiare il momento difficile. Fare tesoro di queste strategie è vitale, perché permetteranno alla persona e alla famiglia di resistere, stando vicino in modo produttivo.
Il Covid ha avuto grande impatto anche a livello emotivo, scatenando reazioni molto diverse. Quanto è importante riconoscere il proprio sentire, rendendolo costruttivo anche in una situazione d’emergenza?
Sicuramente la pandemia ha innescato una serie di emozioni contrastanti, ma ve ne sono alcune in particolare a cui è essenziale e doveroso porre attenzione, dal momento che ogni emozione, se riconosciuta, può rappresentare una grande risorsa. Una prima emozione da considerare è la Sorpresa, ovvero quell’emozione che contraddistingue la presa di coscienza che il mondo che conoscevamo sta cambiando; va ascoltata con molta attenzione, altrimenti potremmo avere difficoltà a prendere consapevolezza della realtà. Poi, senz’altro, la Tristezza: quando si perdono le proprie certezze, resta la tristezza per qualcosa che non c’è più, spesso compensata con lo stare insieme, l’abbracciarsi, il cercare la vicinanza di amici e parenti. In questa nuova condizione – in cui la vicinanza è negata e dunque la tristezza è amplificata dalla solitudine – ci può venire in aiuto la tecnologia, finora guardata – in alcuni casi – con sospetto: ecco allora che una videochiamata, un appuntamento in chat o un aperitivo a distanza diventano il nuovo modo di stare insieme, di condividere e di sentirsi vicini. La Paura è un altro sentimento che combattiamo da sempre; eppure, è necessario rivalutarla, perché può essere alla base della nostra salvezza. Rientra infatti nel gruppo delle emozioni primarie basilari per la sopravvivenza. L’obiettivo è fare in modo che la paura non ci paralizzi, ma ci spinga invece a creare qualcosa di positivo. La Rabbia è l’emozione principale da trasformare: se la vediamo nel suo potere distruttivo, può essere tossica per il nostro corpo. Riuscire ad affrontarla e superarla significa riuscire a trovare le positività che tutta quell’energia ci porta. La rabbia nasce infatti dalla primordiale azione-reazione di attacco e fuga che permetteva la conservazione della specie: non è dunque il mostro nero dentro di noi, ma un’energia da caricare e convogliare nella creatività, altrimenti rimarrebbe un’emozione che non ci è utile.
Insomma, la pandemia ha generato un grande stravolgimento ma in qualche modo ha rappresentato anche un’opportunità?
È indubbio che l’emergenza Covid abbia portato a una ridefinizione delle regole di comportamento sociale e di relazione, con contraccolpi a vari livelli, soprattutto all’interno delle famiglie, che si sono ritrovate a dover affrontare situazioni nuove: le modalità lavorative, la condivisione continuativa dell’abitazione, il bisogno di rinegoziare i ruoli casalinghi e di cura, che spesso erano affidati a figure esterne, come ad esempio i nonni. Nuove modalità di convivenza “forzata” che possono portare al manifestarsi di conflitti, con importanti conseguenze sulle relazioni interpersonali tra i componenti del nucleo familiare. Ma la pandemia, generando questi stravolgimenti e innescando una serie di emozioni diverse, ci ha dato al contempo la possibilità di esserne consapevoli, di prenderle in carico e di trasformarle. Ci ha permesso di riflettere su noi stessi, sul nostro ambiente, sui nostri rapporti, sul nostro percorso di vita. E così ci ha consentito di andare alla ricerca delle risorse che da sempre esistono in noi e che è possibile utilizzare nelle situazioni e nelle esperienze che attraversiamo.
Alla luce di queste trasformazioni, qual è la priorità che il Pedagogista Familiare dovrebbe porsi, al fine di aiutare i nuclei familiari a risolvere i cambiamenti in atto? E che tipo di esperienze Lei ha vissuto, a livello professionale, in questo periodo?
Sicuramente, una delle priorità del Pedagogista Familiare che si approccia a una famiglia messa alla prova dai cambiamenti che la pandemia ha generato, risiede nell’elaborazione di un progetto di intervento specifico che si basi, appunto, sulla riorganizzazione degli spazi familiari. Un progetto che aiuti i componenti della famiglia a gestire le emozioni che emergono in una situazione di “costrizione” e ad elaborare le strategie che la aiuteranno a mettere in atto tale riorganizzazione spazio-temporale, riempiendo il cassetto della memoria di nuove esperienze positive: leggere quel libro che è rimasto troppo a lungo nello scaffale e che a causa della vita frenetica non si è mai trovato il tempo di leggere; ritrovare lo spazio del gioco con i propri figli; occupare il tempo imparando qualcosa di nuovo che avremmo sempre avuto voglia di sapere senza mai riuscire a farlo. Un progetto, quindi, che aiuti a porsi nuovi obiettivi positivi e a ristabilire quell’equilibrio relazionale che, pur essendo stato messo in discussione, può ritrovare una nuova stabilità e una nuova sostanza. Io stessa, nella mia attività professionale, mi sono ritrovata a dover fronteggiare gli inevitabili ostacoli che la pandemia ha comportato: solo per fare un esempio, lo sportello di ascolto con il quale collaboro regolarmente è stato chiuso a causa delle restrizioni imposte dall’emergenza sanitaria. Ma nonostante questo, o forse proprio per questo, ho potuto percepire ancora di più quanto le famiglie siano alla ricerca di una guida, di un aiuto, di un supporto, di un sostegno. Soprattutto in un momento come quello attuale. Per questo, oggi più che mai, siamo nuovamente pronti a raccogliere le loro istanze, ad ascoltare e ad intervenire con progetti mirati in nuclei familiari che ne hanno bisogno e che continuano a rivolgersi a chi può aiutarli. Non ci si può fermare, men che meno ora, e poter essere di nuovo operativi ci riempie di grande entusiasmo e di nuove energie. Oggi più che mai c’è bisogno di Pedagogisti Familiari, e noi ci siamo!
Ufficio Stampa I.N.PE.F.