sabato, aprile 20

Il manifesto 2016/2017 del Programma Internazionale “Vivere Senza Psicofarmaci”

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di Vincenza Palmieri

Come ogni anno, da ormai parecchi, siamo orgogliosi di poter dare un resoconto confortante e obiettivo su quello che sono stati: l’impegno, i risultati e la solidarietà, testimoniati attraverso il Programma Internazionale “Vivere Senza Psicofarmaci”.

 CHI ARRIVA AL PROGRAMMA VIVERE SENZA PSICOFARMACI

Gli utenti sono stati tanti e senza differenza sociale: bambini, adolescenti, post-adolescenti, adulti, uomini, donne e anziani. Ragionando in termini percentuali, ad oggi, vediamo che la maggior parte degli utenti è costituita da giovani e donne. Occasionalmente anche uomini sui 40 anni e anziani, questi ultimi accompagnati dai figli preoccupati del decadimento dei propri genitori che appare essere più repentino e più palese, in una fase di contrazione delle funzioni intellettive e del corpo se, a questa, si accompagna un abuso psicofarmacologico. Ecco, proprio in quella fase di relativo ripiegamento delle proprie capacità, c’è bisogno della massima presenza e prestanza; l’uso dello psicofarmaco, invece, inibisce la possibilità che l’anziano riesca ad attivare tutte le risorse a propria disposizione, cosa che accade o può accadere in condizioni ambientali, fisiologiche e spirituali ottimali.

COME E PERCHÉ SI INIZIA A FAR USO DI PSICOFARMACI

Le ragioni e le strade sono molteplici. In molti casi è l’ultimo stadio di una “carriera da malati” che è stata costruita per anni, anche lungo tutto il corso della vita. Altre volte, invece, si arriva agli psicofarmaci a causa di un’abitudine consolidata, da parte di alcuni medici di famiglia, di prescriverli a fronte di condizioni di solitudine o di emarginazione, o per problemi economici o affettivi, o per migliorare la performance sportiva (eliminando l’ansia) o come accompagnamento a diete o ancora, a seguito del cambiamento di vita prodotto da una gravidanza – prima – e dal parto, dopo. Infine, ciò che ci ha dato un triste primato europeo, gli studenti che li usano per migliorare la concentrazione. Farmaci presentati erroneamente come “problem solving” con  pochissimi rischi.

Senza contare i tanti ragazzi i cui genitori, spaventati dagli spinelli usati dai figli occasionalmente, avevano pensato di rivolgersi al medico di base o ad altri “consiglieri” ed indirizzare il proprio figlio attraverso un percorso di somministrazione farmacologica che magari ha, sì, inibito loro l’uso della cannabis, ma anche la capacità di alzarsi dalla sedia e uscire da casa. Lungi da noi il sostenere l’uso della cannabis, ovviamente. Ma le droghe psichiatriche non sono le alternative da percorrere, anzi, rappresentano la classica caduta dalla padella nella brace.

UN’ERRATA VALUTAZIONE NELLA PRESCRIZIONE DEGLI PSICOFARMACI

Ciò, ovviamente, non riguarda solo la terza età, in cui vengono sottovalutati i rischi del ricorso agli psicofarmaci. Quello che si rileva spesso è che anche nel caso dei giovani ci sono psicofarmaci che vengono considerati e prescritti come innocui. Questi vengono somministrati come una pratica di routine, nascondendo il fatto che le benzodiazepine intervengano pesantemente sulla presenza e sulla capacità di attivare le proprie risorse.

GIOVANI E DONNE IN PRIMIS SI RIVOLGONO AL PROGRAMMA VIVERE SENZA PSICOFARMACI

Non dipende dal fatto che siano o meno i più colpiti dal fenomeno, quanto dalla capacità di
percepirsi come consumatori problematici: un giovane che non si sente libero mentalmente e presente o che dai genitori viene visto ridotto a un automa, una persona in età fertile che vuole fidanzarsi e capisce che sta facendo uso di una droga che non vorrà trasmettere al proprio feto. Queste sono le persone che desiderano velocemente  correre ai ripari. Quando scatta il bisogno di troncare questa dipendenza, il primo bisogno è: in quanto tempo?

Diamo qualche dato: nel 2011 sono stati oltre undici milioni le persone che in Italia ne hanno fatto uso. Di queste, 5 milioni hanno preso tranquillanti e ansiolitici e più di 3 milioni è rappresentato da donne. È il risultato dello studio Ipsad (Italian Population Survey on Alcohol and other Drugs) condotto dall’Istituto di fisiologia clinica del Consiglio nazionale delle ricerche (Ifc-Cnr) di Pisa.

(fonte: http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/02/14/psicofarmaci-oltre-11-milioni-di-italiani-li-usano-contro-stress-e-depressione/881436/)

Ecco perché ci occupiamo molto di bambini e di giovani: le altre fasce d’età, a volte, appaiono più rassegnate all’assunzione. Milioni di persone in Italia assumono psicofarmaci senza cogliere la cosa come problema: soprattutto le donne. Spesso il cosiddetto disturbo schizoaffettivo è il motivo per cui a molte donne iniziano si prescrivono psicofarmaci. Ma, di contro, come si inizia “per amore”, allo stesso modo, e per la stessa ragione, quando ci si innamora, si vuole costruire una vita migliore. Le donne hanno una capacità di rimonta rispetto alla dipendenza da psicofarmaci superiore, relativamente a quella che è la nostra esperienza.

I GENITORI

I genitori si dichiarano sempre pentiti. “Se l’avessimo saputo, se l’avessimo anche solo sospettato…”. Ma sull’argomento c’è una non-comunicazione colpevole. Il genitore si sente
arrabbiato, tradito: “Quando ce l’hanno detto, ci siamo fidati! Pensavamo fosse la cosa corretta e invece nostro figlio è diventato un morto vivente”. Va considerato, inoltre, che si sta creando una vera e propria emergenza psichiatrica che riguarda adolescenti e post adolescenti, con numeri sempre in crescita, che poi non si è in grado di gestire e di risolvere.

Capita spesso, infatti, che i ragazzi vengano ricoverati nei reparti psichiatrici per adulti. Nel
2014, a livello nazionale, ci sono stati 9.924 ricoveri di adolescenti nella fascia 14-18: una media annua di 27 ricoveri al giorno. Sul totale dei ricoveri, quasi uno su tre (il 27%) è avvenuto nei reparti di Psichiatria per adulti e non in un contesto dedicato in modo specifico agli adolescenti, con cure, personale ad hoc, soluzioni alternative e percorribili con risorse attivabili sul territorio (agenzie sportive, centri ludici, oratori, volontari, ecc…).

TUTT’ALTRO APPROCCIO NEL PROGRAMMA VIVERE SENZA PSICOFARMACI

L’obiettivo reale del Programma VSP, innanzitutto, non è soltanto la semplice dismissione dello psicofarmaco. In un processo da “artigiano minuzioso” nel “cesello dell’anima”, viene presa in carico e nutrita la singola cellula, l’anima della persona, così come la sua famiglia.

I problemi all’origine della dipendenza vengono, così, affrontati da un punto di vista, molteplice e non solo nel “nome della psicopatologia”. Vengono svolti tutti gli approfondimenti diagnostici del caso, prima di avviare un qualsiasi intervento. Non è mai un solo specialista ad incontrare il paziente, ma un team, in modo da comporre, attraverso le varie competenze, un’immagine il più ampia possibile delle dinamiche del soggetto. Il punto centrale del Programma risiede nel fatto che non esista un percorso predefinito e rigido, uguale per tutti.
Il Programma viene declinato sulla base delle caratteristiche e della situazione del singolo, che non è trasferito all’interno di una struttura ma resta a casa propria, nell’ambiente che gli è più confortevole e vicino.

Il principio è: Nulla viene tolto al paziente senza che gli sia “restituito” o dato qualcosa in cambio.

ELEMENTI TRASVERSALI E UNA STORIA “COMUNEMENTE PARTICOLARE”

Un elemento trasversale a tutti quelli che nel tempo sono diventati casi psichiatrici, risulta
essere stata a suo tempo l’assenza di indagini di tipo fisiologico o legate alla medicina generale, elemento su cui noi, invece, indaghiamo prioritariamente per uscire dal tunnel della farmacologia psichiatrica non necessaria.

Portiamo ad esempio il caso di un signore di circa 50 anni, con un lungo percorso di cure e attività intrusive. Una persona segnalata e trattata in più di una occasione per via della sua aria disorientata, apparentemente con tratti autistici, incline a smorfie sul viso durante i colloqui. Dopo 2 ore e a causa della postura che propendeva verso l’interlocutore, abbiamo intuito che potesse avere un problema di udito. Banalmente e in maniera incredula è bastato fare il primo intervento stappando i tappi di cerume che aveva cronicamente nelle orecchie.

Difficilmente ci si prende cura di questi aspetti, apparentemente banali, in un paziente psichiatrico. Il nostro paziente ha cominciato a camminare ascoltando i rumori e le voci, senza più essere disorientato; al secondo incontro è entrato sorridendo. A quanto racconta la sorella, non lo faceva da anni.

QUANTO PUO’ ESSERE LUNGA LA STRADA

Parecchio lunga. C’è da fare ancora un grande lavoro dopo anni di devastazione a seguito di psicofarmaci. Ma ricominciare a dare dignità umana e un sorriso a queste persone è quanto di più appagante si possa ricevere in cambio.

PRIMA DEI RISULTATI, UN PASSAGGIO CRITICO

La criticità che possiamo rilevare risiede nella variabile “tempo”. Elemento che, oltre a rappresentare il nodo critico del percorso, incarna anche la garanzia del proprio valore e il suo risultato permanente.

Ci sono percorsi, anche noti, di chi promette “7 kg in 7 giorni”. Chi sta male sente l’impellenza di vedere un risultato a breve e quindi, fin troppo spesso, abbiamo persone che arrivano da noi dopo un tentativo veloce o addirittura messo in atto di propria iniziativa.

Ci sono promesse di metodi “rush new age” così come ci sono alcuni tentativi da parte dallo psichiatra di fiducia o dell’ospedale che eliminano la terapia in tempi estremamente brevi, sapendo che togliere di colpo una puntura mensile a chi la sta assumendo da anni porterà il paziente, nel giro di pochi mesi, ad una condizione patologica di distacco dalla realtà con ricovero urgente, addirittura in TSO. Questa era una prassi utilizzata già in passato nei vecchi manicomi dove si dimetteva il paziente senza alcuna terapia, dopo anni in cui assumevano psicofarmaci. Questo perché da lì a qualche giorno, la reazione all’astinenza li riportava con urgenza in reparto da cui non ne sarebbero usciti mai più. Alcuni arrivano al Programma dopo questi passaggi perché si è voluto credere di poter essere “liberi subito”.

Paradossalmente, il nostro lavoro spesso è quello di invitare a tollerare il tempo come terapia e come valore. Più è lenta la dismissione, più l’emancipazione rimarrà stabile, per sempre. Anche perché il Programma lascia a noi e alle persone lo spazio per monitorare il percorso e il risultato.

A volte la persona arriva da noi con l’idea che il farmaco dovrà assumerlo per tutta la vita: perché così gli è stato detto all’atto della prima prescrizione. Pertanto incontriamo persone che, a differenza di tutte le altre malattie/terapie, hanno maturato la convinzione che non ne usciranno mai più, come quando ci si “ammala d’amore”: la malattia spirituale è “per tutta la vita”. E nel nostro secolo, dal momento che si guarisce anche dalle malattie da cui era impensabile sopravvivere, non si capisce perché non si possa dire al genere umano che è possibile ritornare ad essere persone libere e felici.

Ad oggi, anche per il 2016 ringraziamo le oltre 300 famiglie che abbiamo accompagnato e che in un differente abbraccio fatto anche di impegno e responsabilità, hanno contribuito a rendere più sicuro e più integro l’ambiente e la vita di noi tutti.

 

 

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