giovedì, aprile 25

Riceviamo e pubblichiamo volentieri da Carmen Costa, Pedagogista Familiare ANPEF, un contributo sul Diritto all’Apprendimento

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(…) Un cucciolo d’uomo è un cucciolo d’uomo, e deve imparare tutte le leggi della jungla.

Ma pensa com’è piccolo – rispose la Pantera Nera, che avrebbe viziato Mowgli, se lo avesse allevato a modo suo. Come può trattenere nella sua testolina tutte le tue lunghe filastrocche? C’è qualche animale nella jungla che sia troppo piccolo per essere ucciso?

Baloo: “Ora gli sto insegnando le Parole Maestre della jungla, che devono proteggerlo dagli uccelli, dai serpenti e da tutti quelli che cacciano su quattro zampe, salvo quelli del suo branco. Egli sa ormai chiedere aiuto, purché si ricordi le parole, a tutti nella jungla”.

Questo breve estratto del “Libro della jungla” di Rudyard Kipling rappresenta uno degli esempi più significativi di ciò che voglia dire  “apprendimento e sviluppo sostenibile nell’accezione di “proseguire nello sviluppo economico e sociale che assicuri il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità di soddisfare quelli delle generazioni future”.

A tal proposito, a settembre 2015 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, in continuità con i Millennium Development Goals, ha adottato l’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile, nella quale si delineano a livello mondiale le direttrici delle attività per i successivi 15 anni.
È una visione integrata delle diverse dimensioni dello sviluppo, data l’insostenibilità ambientale economica e sociale.
I 17 Sustainable Development Goals che compongono l’Agenda 2030 rappresentano il piano di azione globale delle Nazioni Unite per sradicare la povertà, proteggere il pianeta e garantire la prosperità per tutti, e a cui tutti i Paesi sono chiamati a contribuire.

Abbiamo in quest’epoca rivoluzionaria l’esempio di mutamenti mai accaduti prima: bambini che con il cellulare in mano hanno accesso a tutto il conoscibile e, dunque, un accesso alla conoscenza che non dipende più da un solo insegnante. La Quarta Rivoluzione Industriale, quella della Conoscenza,  si espande in forma esponenziale più che in forma lineare. Il che ci suggerisce che in futuro molti lavori saranno automatizzati e, pur non sapendo esattamente quali, sappiamo che sarà sempre più necessaria – come dicono anche gli studi del World Economic Forum – una maggiore collaborazione tra umano e macchina per lo svolgimento di compiti complessi.
In relazione all’aumentata robotizzazione, emerge tuttavia la consapevolezza che la forza lavoro umana ha la possibilità di svilupparsi solo partendo da capacità umanamente uniche, che le macchine evidentemente non possono eguagliare né replicare: e così, anche un colosso come la Toyota sta eliminando i robot dalle fabbriche perché sono i lavoratori, sono gli uomini, a proporre idee e migliorie.
Sembra infatti che le macchine non siano davvero così brave con l’innovazione, proprio perché alcune qualità sono propriamente ed esclusivamente umane: la creatività, l’istinto, l’intelligenza sociale o il porre attenzione a come funzionano le macchine stesse. Tutte caratteristiche che potrebbero essere incluse in una lista che uno degli esperti del World Economic Forum darebbe ai ragazzi di oggi.

Secondo il sociologo e “futurologo” statunitense Alvin Toffler, recentemente scomparso, “gli analfabeti del futuro non saranno quelli che non sanno leggere o scrivere ma quelli che non sanno imparare, disimparare e imparare di nuovo”. E ancora: “Il futuro appartiene a coloro che sono capaci di apprendere e disapprendere”.
Un processo che naturalmente diventa molto più facile con qualche indicazione di base: essere curiosi, aperti, pronti a sperimentare e a seguire le indicazioni in cui si muove il mondo.

La domanda chiave è: con la nostra educazione ci stiamo preparando per lavori che ancora non esistono o per lavori che sono già cambiati o totalmente spariti?

Come ottenere un lavoro che non esiste ancora, nell’età dell’incertezza?

Alcune capacità risultano basilari, come la Learn-ability, l’abilità che rende le persone capaci di apprendere continuamente diventando dei “life-long learners”; una cultura che apprende e sia capace di navigare i mutamenti; la capacità di attingere a fonti di creatività per creare sistemi nuovi per affrontare problemi che l’umanità non ha mai affrontato prima, pensando per esempio ad una presunta illimitatezza delle risorse.
La sfida per gli educatori è quella di rendere il proprio insegnamento di capacità tecniche, come la matematica e la programmazione, mediante un focus su quali e quanto siano importanti le cosiddette soft-skills per i lavoratori del futuro, e il loro essere competitivi nel mondo del lavoro.

Secondo il Future Software and Society, l’intelligenza emozionale (che al momento non è tra le prime dieci skills) sarà la più necessaria. Più in dettaglio, le 10 top skills nel 2020 saranno:
– Capacità di Problem Solving
– Pensiero Critico
– Creatività
– Gestione delle Risorse Umane
– Capacità di Coordinarsi con gli altri
– Capacità di Giudizio e di Prendere decisioni
– Orientamento ai Servizi
– Negoziazione
– Flessibilità Cognitiva

Amina Mohamed, nuovo Vice Segretario Generale delle Nazioni Unite, presentando il Gem Report Unesco ha ricordato che: “L’educazione è essenziale per il raggiungimento di tutti gli Sdgs (Obiettivi per lo Sviluppo Sostenibile, ndr) e siamo tutti responsabili per il raggiungimento di una qualità inclusiva ed equa per tutti.

In Europa, con Alliance for Culture, 33 network europei sollecitano i decisori a ripensare l’approccio europeo, avanzando richiesta alla Commissione Europea di includere l’educazione stessa, l’Sdg 4, come obiettivo portante per tutti gli altri.
Nel progetto europeo si parla dunque soprattutto di cultura e di arti negli obiettivi strategici a lungo termine, questo perché la Commissione fa riferimento al ruolo della Cultura, dell’Arte e del Lavoro creativo come fonti di un potere trasformativo capace di nutrire il dialogo interculturale, sanare le ferite sociali e sostenere approcci coerenti con la sostenibilità ambientale ed economica.

Dal Convegno tenutosi il 26 Ottobre 2017 nella Sala Zuccari del Senato “Dal Diritto allo Studio, al Diritto all’Apprendimento”, promosso dall’Istituto Nazionale di Pedagogia Familiare e Anpef, l’Associazione Nazionale dei Pedagogisti Familiari e dalle sinergie creatisi, si acclara la necessità di una scuola che non sia solo istituzione ma comunità, e che sia fonte di benessere per i docenti e per i discenti. Alessio Vieno, docente all’Università di Padova, nell’indicare il senso di comunità come determinante del benessere, sottolinea come “il senso di comunità a scuola diviene l’estensione dell’effetto protettivo legato al network familiare e degli amici”.
Questa consapevolezza va nella stessa direzione, a largo respiro, già anticipata nelle ricerche compiute nel “Worldwide Educating for the Future Index”, creato dall’EIU Economist Intelligence Unit, commissionato dall’Yiden Prize Foundation e composto da 17 esperti mondiali, provenienti dal mondo economico, accademico e delle agenzie mondiali, che si focalizzano sull’educazione 15-24 anni nelle economie di 35 paesi.
Il rapporto è molto interessante e conferma in un’analisi più articolata la correttezza dell’approccio, dei metodi e della mission della Pedagogia Familiare, proprio nelle parole di A. C. Crayling, del New College of Humanities : “L’Educazione è per la persona nella sua totalità, perché ogni individuo non è soltanto una carriera, ma un elettore, un vicino, un genitore. È di primaria importanza che ognuno, inclusi i nostri medici e ragionieri, abbia l’opportunità di pensare e discutere del mondo”.
I questo senso, sostenere il Diritto all’Apprendimento secondo l’approccio e la mission della Pedagogia Familiare significa realizzare quello che Eleanor Roosvelt ci dice: «Dove iniziano i diritti umani universali? In piccoli posti vicino casa, così vicini e così piccoli che essi non possono essere visti su nessuna mappa del mondo. Ma essi sono il mondo di ogni singola persona; il quartiere dove si vive, la scuola frequentata, la fabbrica, la fattoria o l’ufficio dove si lavora. Questi sono i posti in cui ogni uomo, donna o bambino cercano uguale giustizia, uguali opportunità, eguale dignità senza discriminazioni. Se questi diritti non hanno significato lì, hanno poco significato da altre parti. In assenza di interventi organizzati di cittadini per sostenere chi è vicino alla loro casa, guarderemo invano al progresso nel mondo più vasto. Quindi noi crediamo che il destino dei diritti umani è nelle mani di tutti i cittadini in tutte le nostre comunità». (27 marzo 1958, In Your Hands).

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